Mercato del Lavoro: Note e Osservazioni sulla Legge Fornero
LEGGE 92/2012
Note e Osservazioni sulla Legge Fornero
Questa legge, che si presenta anche nella sua forma in modo del tutto particolare (4 articoli con una settantina di commi ciascuno, solo per consentirne la più rapida approvazione in aula con utilizzo del voto di fiducia), inizia già in modo originale esponendo, al primo comma dell’art. 1, le sue finalità, generalmente risul- tanti, invece, solo dai lavori parlamentari.
Così inizia: “La presente legge dispone mi- sure e interventi intesi a realizzare un mercato del lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire alla creazione di occupazione, in quantità e qualità’, alla crescita sociale ed economica e alla riduzione permanente del tasso di disoccupazione, in particolare:
a) favorendo l’instaurazione di rapporti di la- voro più stabili e ribadendo il rilievo prioritario del lavoro subordinato a tempo indeterminato, cosiddetto «contratto dominante», quale forma comune di rapporto di lavoro;” e prose- gue, poi, indicando le altre finalità: valorizza- zione dell’apprendistato, redistribuzione delle tutele dell’impiego contrastando l’uso improprio degli elementi di flessibilità, adeguamento della disciplina del licenziamento alle mutate neces- sità, attuazione di un più equo l’assetto degli ammortizzatori sociali, etc..
Già la prima finalità risulta contraddetta fin dai commi successivi, basti considerare le previ- sioni relative alla disciplina dei
CONTRATTIATERMINE (C.T.)
(commi 9/15)
Prima della riforma il comma 01 art. 1 D.lgs 3
368/2001 prevedeva: “il contratto di lavoro su- bordinato è stipulato di regola a tempo inde- terminato”.
Poi su tale presupposto si è sostenuto che se il giudice rilevava che altre forme di lavoro au- tonomo o a progetto dovevano intendersi di lavoro subordinato, applicavano “la regola” e trasformavano quel rapporto come rapporto a tempo indeterminato.
Ora non è più la regola: il nuovo articolo 1 comma 01 infatti dispone:
“il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro” per cui se non è più una regola resta solo una prospet- tazione politica!
Ed ecco il 1° ritocco sostanziale: il D.lgs 368/2001 prevedeva, per i C.T. non solo l’esi- stenza di una ragione temporanea che giusti- ficasse la precarietà del rapporto, ma anche la sua formale e specifica esplicitazione nella lettera di assunzione così da consentire un preventivo controllo del lavoratore e quello successivo del giudice.
Ora viene aggiunto il comma 1 bis: per C.T. di 12 mesi non è più necessario che ci sia una sottostante ragione temporanea e quindi più nulla deve essere esplicitato nel contratto. Gli unici limiti sono i seguenti:
1) il contratto a termine che non può superare i 12 mesi deve avere la forma scritta e può es- sere utilizzato solo una volta col medesimo la- voratore indipendentemente dal cambio di mansione, deve, quindi, essere il primo con- tratto a termine con quel lavoratore;
2) il lavoratore non deve neppure essere stato impiegato presso quell’azienda come lavora- tore somministrato;
4 3) il contratto non può essere prorogato nem-
meno una volta, potrà, però, essere seguito da un nuovo C.T., dopo l’intervallo di cui si dirà fra poco, se il nuovo C.T. risponderà, que- sta volta, alle regole ordinarie (esistenza di ra- gioni temporanee organizzative, produttive o sostitutive e loro formale specificazione nella lettera di assunzione.
Il controllo del giudice potrà, per questo primo contratto, che si può definire “acausale”, ope- rare solo in relazione al rispetto dei 3 limiti so- praindicati, ma non potrà più spingersi neppure a verificare se le ragioni per cui è stato apposto il termine siano effettivamente di carattere temporaneo o no!
E’ vero che per questo tipo di contratto, come per tutti i contratti a termine, la nuova legge prevede l’applicazione di una maggiorazione contributiva dell’1,4% (salvo eccezioni per
C.T. attuati per sostituzioni, per lavori stagio- nali e con apprendisti) che potrà, nel limite delle ultime sei mensilità, essere recuperata in caso di stabilizzazione del rapporto e che questo vorrebbe essere un incentivo per la stabilizzazione del rapporto, ma qui alcune considerazioni si impongono.
La prima riguarda il fatto che una così sem- plice e sicura (per l’assenza di rischi di non vo- luta stabilizzazione del rapporto per intervento giudiziale) modalità di assunzione di lavoro precario diventerà, con ogni probabilità, la forma più comune di assunzione: si offre al da- tore di lavoro di avere in prova un dipendente per ben 12 mesi con un prezzo addirittura in- feriore a quello di un lavoratore somministrato e con la possibilità di recuperare buon parte della maggior spesa rispetto ad una assun- zione a tempo indeterminato qualora ritenga suo interesse stabilizzare il rapporto.
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La seconda, e conseguente, è che una simile forma di accesso al lavoro penalizzerà inevita- bilmente i soggetti più deboli o più scomodi che ovviamente al termine di questo contratto non saranno “confermati”. Saranno così sempre più emarginati e precarizzati i lavoratori con un tasso di assenze per malattia superiori alla norma, i genitori con problemi di gestione dei figli costretti a chiedere permessi, i lavoratori do- tati di minori capacità produttive, i lavoratori che partecipano agli scioperi o si manifestano sen- sibili alle tematiche sindacali, etc).
Ecco che il contratto a tempo indeterminato non è più la regola e nel contempo il sistema ha rafforzato enormemente quel potere di se- lezione del personale che già, negli anni pas- sati, eliminando il collocamento obbligatorio, aveva riconosciuto al datore di lavoro, potere cui farà da contraltare, come visto, un sempre più netta demarcazione tra inclusi ed esclusi dal sistema produttivo.
C’è ovviamente da chiedersi se una simile di- sciplina aggira la direttiva europea diretta a prevenire gli abusi del C.T.
Un C.T., generalizzato e che si sottrae al- l’esistenza di ragioni obiettive pare, infatti, un po’ troppo rispetto alla disciplina comunita- ria la quale, con la direttiva 97/67, prevede, al considerando n° 7, che “una utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato ba- sata su ragioni oggettive, è un modo di pre- venirne gli abusi.”
Si sostiene di no, perché la norma riguarde- rebbe solo il primo contratto e non la succes- sione di contratti a termine mentre solo le modalità di questa successione sarebbero og- getto della norma comunitaria, ma è facile ve- dere come questa interpretazione sia vera ipocrisia se si considerano:
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– la possibilità di coprire lo stesso posto ogni 12 mesi con un diverso lavoratore;
– l’assenza di un qualsiasi limite percentuale come previsto, invece, per altre ipotesi (nel settore delle imprese aeroportuali e delle poste) in cui peraltro risultano introdotte anche altre limitazioni temporali nell’arco dell’anno. Il discorso non è finito qui perché la norma af- fida ai CCNL – e persino alla contrattazione decentrata, in via delegata – la possibilità di stipulare contratti senza causale “alposto” (e quindi non in aggiunta) di quelli ora esaminati, nel caso di specifici processi organizzativi1 anche se pone, in questo caso, il limite del 6% rispetto la totale dei lavoratori occupati. Queste regole valgono anche per i C.T. in re- gime di somministrazione anche se qui la legge dimentica di modificare nello stesso senso il contratto commerciale da cui trae ori- gine il singolo contratto di lavoro.
C.T. “NORMALI”
Altre modifiche la legge ha introdotto per i CT
a) possono durare oltre la scadenza in termini
diversi da prima
- sotto i 6 mesi la tolleranza passa
da 20 a 30 gg
- sopra i 6 mesi la tolleranza passa
da 30 a 50 gg
ma il datore deve fare preventiva comunica-
zione di questo prolungamento del rapporto al
centro per l’impiego (ove ciò non avvenga
dovrà ritenersi che il contratto si illegittima-
mente protratto oltre il termine con diritto alla
sua trasformazione in contratto a tempo inde-
terminato).
b) devono avere un diverso intervallo uno dal-
l’altro
- sotto i 6 mesi, prima erano previsti 10
gg, ora 60 7
- sopra i 6 mesi, prima erano previsti 20 gg, ora 90
- ai CCNL viene però data la facoltà di modificare questi intervalli rispettivamente fino a 20 e 30 gg.
c) in considerazione di questo più lungo inter- vallo, opportunamente, la legge ha previsto che il termine per l’impugnazione del ter- mine debba passare da 60 a 120 gg. con onere di iniziare il giudizio entro i successivi 180 ( per i C.T. che finiscono dopo il 10/1/13)
d) unica modifica positiva: nel calcolo dei 36 mesi, considerati come limite temporale del C.T. (salvo estensioni da parte dei CCNL) pena la loro trasformazione, si deve ora tener conto anche dei periodi di missione (lavoro sommini- strato) aventi ad oggetto mansioni equivalenti.
e) infine viene data una interpretazione re- strittiva all’art. 32 L. 183/2010, che già aveva posto il limite massimo di 12 mesi di retribu- zione al risarcimento che il lavoratore poteva ottenere per i danni derivatigli dalla disoccu- pazione dopo la scadenza del termine illegit- timo indipendentemente dal fatto che lo stato di disoccupazione fosse o meno durato di più.
Con questa nuova disposizione l’indennità prevista in questi casi viene definita “onni- comprensiva” chiudendo definitivamente lo spazio alle interpretazioni più favorevoli al la- voratore che la giurisprudenza in qualche caso aveva prospettato per evitare che anche le lungaggini della giustizia finissero col pena- lizzare il dipendente a avvantaggiare il datore.
APPRENDISTATO (commi 16/19)
Da 15 anni vorrebbe essere la forma privile-
giata di accesso al lavoro per i giovani con
una forma mista “lavoro + insegnamento” che
giustificherebbe la minor retribuzione e quindi
8 la maggior appetibilità per i datori
3 forme di apprendistato:
– per la qualifica e per il diploma professionale
– apprendistato professionalizzante o contratto
di mestiere
– apprendistato di alta formazione e ricerca
4 modifiche con la legge – disciplina
delle assunzioni
– termine minino di durata (nel 2005 era di 2
anni poi nel 2008 tolto ogni limite)
– disciplina del recesso
– estensione dell’ASPI
– il T.U. dell’apprendistato D.lgs 167/2011
viene modificato con la previsione che il CCNL
deve prevedere una durata minima non infe-
riore a 6 mesi, salvo che nei lavori stagionali
– vengono introdotti diversi limiti percentuali
secondo la dimensione dell’impresa (diverso
per aziende artigiane) a partire dal 1.1.2013:
esclusi i lavoratori a progetto o in sommini-
strazione:
– se l’azienda ha meno di 10 dipendenti il
rapporto non può superare 1 apprendista per
lavoratore specializzato o qualificato (come
prima);
– se ha più di 10 dipendenti il rapporto è, in-
vece, di 3 apprendisti (compresi i sommini-
strati) ogni 2 lavoratori specializzati e/o
qualificati. (in questo caso aumentano);
– Se non ci sono lavoratori specialisti e/o qua-
lificati il limite massimo è di 3 apprendisti.
La legge poi stabilisce che non possano es- sere utilizzati apprendisti in somministrazione con contratto solo a termine.
Per incentivare la stabilizzazione la legge pre- vede che l’assunzione di nuovi apprendisti, per leaziendeconpiùdi10dipendenti, sia subor- dinata al fatto che nei precedenti 36 mesi sia stato confermato il 50% dei lavoratori appren- disti al termine del loro contratto (per i primi 3
anni, quindi fino al 18.7.2015, questo limite è 9
abbassato al 36%). In caso di mancato ri- spetto di queste percentuali è consentita l’as- sunzione di un solo ulteriore apprendista.
Se si superano queste percentuali ne conse- guirà la trasformazione degli “esuberi” in ordi- nari rapporti subordinati tempo indeterminato (sempre solo per aziende con più di 10 di- pendenti).
Il datore e il lavoratore non possono recedere dal contratto prima della scadenza se non per giusta causa e giustificato motivo. (questo si- gnifica che il lavoratore che desse le dimis- sioni prima della scadenza del contratto, senza giustificato motivo rischia una richiesta di risarcimento da parte del datore di lavoro per i danni relativi al costo di una formazione non potuta utilizzare);
Se il datore non vuole proseguire il rapporto al termine del periodo di apprendistato deve dare il preavviso e se non lo fa il contratto pro- segue con la normalizzazione del rapporto. Una novità positiva: a questi lavoratori viene esteso il nuovo meccansismo previsto a tutela dello stato di disoccupazione (ASPI).
PART-TIME (comma 20)
Viene reintrodotto un minimo di limite circa le
clausole flessibili ed elastiche oggi regolate
dal CCNL nei seguenti termini:
1) affidando al contratto collettivo condizioni e
modalità che consentono al lavoratore di ri-
chiedere l’eliminazione o la modifica di queste
clausole;
2) prevedendo la possibilità di revoca per gli
studenti e per gli affetti da patologie oncologi-
che, o con coniuge, genitori o figli affetti da tali
patologie, i lavoratori conviventi con familiari
portatori di handicap.
10 Il punto è che una volta firmato il patto il lavo-
ratore, salvo questi casi, non può più revocare il suo consenso!
LAVORO INTERMITTENTE
(commi 21 e 22)
Abrogato nel 2007 e resuscitato nel 2008 (non
c’è stata la volontà di eliminarlo, solo di limi-
tarlo – previsto per ora dai CCNL solo per al-
cune figure: custodi – guardiani camerieri –
fattorini)
ne viene limitata la portata riservandolo ai la-
voratori:
– con più di 55 anni (prima 45)
– con meno di 24 – prestazioni rese entro il 25°
(prima meno di 25)
– se la prestazione o il ciclo della prestazioni
durano meno di 30 gg il datore deve darne
comunicazione alla DTL con sms, fax o posta
elettronica
– è poi abrogato l’art. 37 del D.lgs 276/03 che
prevedeva il lavoro a chiamata con disponibilità
permanente del lavoratore, ma con diritto alla
retribuzione solo in caso di effettiva chiamata!
CONTRATTO A PROGETTO
(commi 23/25)
E’ l’istituto forse maggiormente rivisto in senso
limitativo a favore del lavoratore, ma su cui si
accaniscono con maggior vigore le iniziative
volte alla sua modifica.
– Innanzitutto la legge limita questa figura con-
trattuale alla collaborazione continuativa fina-
lizzata ad un progetto e non più anche ad un
“programma o fase di lavoro”.
Il progetto poi deve essere ben specificato,
non con il solo richiamo all’oggetto sociale, e
deve essere accompagnato da un risultato fi-
nale indicato anch’esso nel contratto.
Se il progetto non viene indicato in modo spe-
cifico con individuazione del suo contenuto 11
caratterizzante il rapporto si converte nella comune forma del lavoro subordinato.
Ma il contratto a progetto non può neppure es- sere stipulato per lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi che pos- sono essere individuati dai contratti collettivi. Tolta quindi la possibilità di contratti a progetto per semplici fasi di lavoro e ridotta quella per lavori ripetitivi-esecutivi dovrebbe diventar dif- ficile regolare con questa forma contrattuale il lavoro dei call-center, e altre forme di lavori esecutivi.
La legge stabilisce poi che deve essere ga- rantito un minimo retributivo con riferimento a CCNL specifici o, in assenza di questa con riferimento ai CCNL dei lavoratori subordinati. Le parti possono recedere prima della sca- denza del termine per giusta causa e altrimenti:
– il lavoratore, con preavviso, ma solo se è previsto nel suo contratto (il che sarà davvero improbabile data la totale assenza di un suo potere contrattuale!!)
– il datore se può dimostrare che sono emersi oggettivi profili di inidoneità professionale del collaboratore tali da rendere impossibile la realizzazione del progetto (non si parla in que- sto caso neppure di preavviso).
La legge, inoltre, prevede una sorte di pre- sunzione: i rapporti si considerano di natura subordinata, salvo prova contraria, nel caso in cui l’attività del collaboratore sia svolta con modalità analoga a quella dei dipendenti del committente. Queste disposizioni si applicano solo ai con– tratti stipulati dopo il 18/7/2012
Va ancora aggiunto che la nuova disciplina prevede ora anche l’accesso ad un minimo di tutela previdenziale per disoccupazione: fino
12 al 2015 e con almeno tre mesi lavorati nel-
l’anno precedente l’indennità sarà di circa
€.1045 moltiplicato per il minor numero tra le
mensilità accreditate l’anno precedente e
quelle non coperte da contribuzione, dopo il
2015, la legge già prevede un peggioramento
di questo trattamento.
PARTITEIVA (commi 26/27)
Anche questa figura viene limitata con l’istitu-
zione di presunzioni a favore del lavoro a pro-
getto che invertono l’onere della prova
ponendo a carico del datore di lavoro l’obbligo
di dimostrare la natura effettivamente auto-
noma del rapporto.
Ciò accade se ricorrono anche 2 sole di que- ste 3 condizioni:
– che la collaborazione per lo stesso commit- tente duri “complessivamente” più di 8 mesi nell’arco dell’anno solare (quindi calcolando a ritroso gli ultimi 12 mesi),
– che oltre l’80% del fatturato nell’anno solare derivi dallo stesso committente (intendendosi per tale tutte le imprese del medesimo gruppo considerate come centro di imputazione del medesimo interesse)
– che il collaboratore abbia la disponibilità di una postazione fissa presso il committente (restano dubbi su che voglia dire esattamente questa locuzione, non pare però che possa pretendere una postazione esclusivamente ri- servata a lui ).
Se sussistono anche 2 soli di questi requisiti il contratto si ritiene – salvo prova contraria – a progetto, ma se il contratto originale non ha i requisiti formali di questo tipo di contratto (forma scritta, indicazione del progetto e della sua finalità) inevitabilmente si trasformerà in ordinario rapporto di lavoro subordinato.
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Queste presunzioni però non si applicano in questi casi:
1) quando la prestazione sia connotata da competenze tecniche di grado elevato – o ca- pacità tecnico-pratiche acquisite tramite rile- vanti esperienze di esercizio concreto e la persona sia titolare di un reddito non inferiore ai 14.930 euro annui (minimo imponibile per artigiani e commercianti)
2) quando la prestazione sia resa nell’eserci- zio di attività professionale per la quale è pre- vista l’iscrizione ad un ordine professionale. Per le partite IVA in corso, la legge entra in vi- gore il 18.7.2013.
Nel caso in cui le prestazioni risultino rese come collaborazione continuativa i contributi andranno così ripartiti: 2/3 a carico del com- mittente, 1/3 a carico del lavoratore.
L’ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE
(commi 29/30)
All’art. 2549 c.c. viene aggiunto un comma che
limita a 3 il numero massimo degli associati che
possono essere impegnati nella medesima at-
tività apportando all’associazione “anche” la
loro prestazione di lavoro, dal conteggio però
restano esclusi i lavoratori che hanno legami di
parentela entro il 3° grado e di affinità entro il 2°
grado (suocero genero nuora).
In caso di violazione di questo limite gli asso-
ciati devono considerarsi subordinati. I contratti
già in essere possono “salvarsi” fino alla loro
cessazione solo se erano stati certificati, nella
loro genuinità, dalle apposite commissioni.
Il comma 30 introduce nuovamente delle pre- sunzioni (salvo prova contraria) a favore del lavoratore per cui il rapporto si presume come subordinato:
– quando non vi sia stata effettiva partecipa-
14 zione agli utili
– quando non sia stato consegnato il rendi- conto
– quando l’attività sia poco qualificata (previ- sione simile a quella esaminata per il lavoro autonomo).
LAVOROACCESSORIO (commi 32 e 33)
E’ previsto per le prestazioni occasionali che
non danno luogo a compensi superiori ai 5.000
euro nel corso dell’anno solare, col limite, però,
di 2.000 euro per singolo committente. Inoltre:
– norme più restrittive nel settore agricolo solo
per lavoratori sotto i 25 anni
– la norma nuova, al fine di contrastare possi-
bili abusi e di mascherare con questa forma di
lavoro occasionale un rapporto continuativo in
“nero”, prevede che i buoni siano orari, e nu-
merati progressivamente e datati
– oggi il valore di un buono è di €. 10,00 (7,5
x lav. – 2,5 x gli istituti assicurativi) ma la legge
si riserva di modificare questo rapporto e si
può fondatamente temere che lo sposti in
danno del lavoratore!
– viene sancito che un buono vale 1 ora (ciò per-
ché fino ad ieri i datori con un buono pretende-
vano di poter pagare anche più di una ora)
– la nuova norma estende questa tipologia a
tutti i settori
– la nuova norma prevede che anche questi im-
porti siano computati al fine del calcolo del red-
dito necessario per il rilascio del permesso di
soggiorno.
TIROCINIOFORMATIVO (comma 34/35)
La legge affida a governo e regioni di rag-
giungere un accordo che:
– riveda la disciplina dei rapporti formativi (co-
munemente chiamati Stage)
– preveda azioni volte a prevenire abusi
– individui gli elementi qualificanti il tirocinio 15
– riconosca una “congrua indennità”, anche in forma forfettaria, in relazione alla prestazione svolta con sanzione a carico del trasgressore. La norma, quindi, dispone che venga garan- tita anche una sorta di retribuzione minima per lo stagista.
LAMODIFICADELREGIMEDELLASOLI– DARIETÀNEGLIAPPALTI (art. 4 comma 31)
L’art. 29 Dlg 276/2003 è già stato modificato prima della legge Fornero con L. 35/2012, che, volendo limitare l’esposizione del com- mittente/appaltante rispetto ai lavoratori del- l’appalto, ha stabilito il diritto del committente, chiamato dal lavoratore al pagamento di quanto a costui spetta per il lavoro svolto nel- l’appalto, di richiedere la preventiva escus- sione del patrimonio dell’appaltatore e dei subappaltatori!! In altre parole, il lavoratore addetto ad un appalto che non sia stato pa- gato dal suo datore di lavoro, prima di poter ottenere la sua retribuzione dall’appaltante, deve ora procedere in via esecutiva contro il suo datore di lavoro con pratiche notoria- mente lunghissime; se poi il lavoro era in su- bappalto, deve ugualmente procedere nei confronti del primo appaltatore e solo dopo aver dimostrato di aver fatto tutto il possibile nei confronti di quei soggetti (uno o due anni di procedure, per di più costose!!!) potrà pre- tendere il pagamento del dovuto dalla ditta committente.
La legge Fornero, in più ha stabilito:
a) addirittura che i CCNL possano prevedere
esenzioni del regime di solidarietà unitamente
a procedure di controllo sulla regolarità degli
appalti, ciò vuol dire togliere la stessa possibi-
lità di essere garantiti dal committente
b) il litisconsorzio necessario, ovvero la ne-
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cessità di chiamare contemporaneamente in causa sia il datore di lavoro che il committente
– per avere la condanna contestuale di en- trambi e se ci sono subappaltatori anche di costoro.
Un capovolgimento del regime delle garan- zie poste a favore del salario (e dei contributi) del lavoratore, ma è opportuno ricordare che ancora:
– residua l’art.1676 c.c. per cui almeno per la soma pari all’ammontare dei crediti che an- cora l’appaltatore ha nei confronti del commit- tente non può essere eccepita la preventiva escussione (entro un anno dalla cessazione dell’appalto)
– vige pergliappaltipubblici il codice degli appalti e il regolamento DPR 207/2010 che prevede la possibilità (non quindi un obbligo) di pagare direttamente il lavoratore
– è prevista dal CCNL pergliedili, anche se solo entro 6 mesi da fine appalto, un regime di solidarietà del committente simile a quello del- l’art. 29 ante modifica
– pergliappaltatorinondinazionalitàita– liana vige la normativa ad hoc, il D.lgs 72/00
CONTRASTO ALLE DIMISSIONI IN BIANCO E DIRITTO DI RIPENSAMENTO ANCHE NELLE RISOLUZIONI CONSEN-
SUALI (4 commi 16/23) La nuova normativa prevede:
1) per i primi 3 anni del bambino (o di acco- glienza del minore adottato) le dimissioni dei genitori devono essere convalidate dal Servi- zio Ispettivo del Ministero del Lavoro si tratta di una condizione sospensiva (prima que- sta previsione era limitata al primo anno di età del figlio – modifica art. 55 D.lgs 151/2001).
2) negli altri casi le dimissioni vanno convalidate
avanti a DTL o al centro per l’impiego (o sedi di- 17
verse che potranno essere individuate dai CCNL) oppure con sottoscrizione apposta in calce alla ricevuta di trasmissione della co- municazione di cessazione del rapporto di lavoro.
Le dimissioni si considerano convalidate quando il lavoratore non aderisca entro 7 gg. dalla ricezione all’invito di presentarsi alla DTL o Centro per l’impiego o ad apporre la sua firma sulla comunicazione.
Il lavoratore dal canto suo ha il diritto di co- municare entro 7 gg. la revoca delle sue di- missioni e della risoluzione consensuale e dal giorno successivo alla revoca si ricostitui- sce il rapporto senza obblighi retributivi inter- medi se non c’era prestazione (preavviso). Eventuali accordi sulla risoluzione consen- suale perdono in questo caso efficacia e il la- voratore dovrà restituire quanto eventualmente incassato.
Per il datore di lavoro che abusi di dimissioni in bianco: è prevista la sanzione economica da € 5 mila a 30 mila.
LICENZIAMENTI INDIVIDUALI
(commi 37 /41)
Si voleva facilitare la flessibilità in uscita, ma
non si è reso più facile licenziare quando vi è
un motivo giustificato: si è voluto semplice-
mente facilitarlo quando è ingiustificato!
Inutile ricordare la gravità di questa scelta le-
gislativa visto che la disciplina del licenzia-
mento ha fino ad oggi svolto non solo una
funzione diretta di tutelare la stabilità del
posto di lavoro, ma anche la non meno im-
portante funzione indiretta di garantire al la-
voratore l’agibilità politico-sindacale, la
possibilità di difendere i suoi diritti senza il ri-
schio di essere privato della sua , per lo più
18 unica e quindi essenziale, fonte di reddito.
La procedura amministrativa per i licen- ziamenti motivati sul presupposto di un giustificato motivo oggettivo (g.m.o.) per aziende che hanno più di 15 dipendenti nell’ambito dello stesso comune o più di 60 nel territorio nazionale.
Innanzitutto viene, per questo tipo di licenzia- menti introdotta una preventiva procedura: il datore deve mandare una comunicazione alla DTL e al lavoratore ove
– dichiara l’intenzione di licenziare
– indica i motivi del licenziamento e le even-
tuali misure di assistenza alla ricollocazione.
La DTL entro 7 gg. (termine perentorio) deve
trasmettere la convocazione avanti a sé.
Le parti possono essere assistite dalle OS ov-
vero da un avvocato – o consulente del lavoro.
In questa fase si devono esaminare anche
soluzioni alternative al recesso.
Essa deve concludersi entro 20 gg. dalla data in
cui la DTL ha trasmesso la convocazione per
l’incontro. In caso di documentata impossibilità
del lavoratore è previsto un differimento non su-
periore ai 15 gg.
N.B: anche in caso di risoluzione consen- suale, raggiunta in tale fase, il lavoratore avrà diritto all’ASPI (Associazione Sociale per l’Im- piego) che però entra in vigore solo l’1/1/2013 (e intanto, la legge nulla dice se spetta o meno l’attuale indennità di disoccupazione, né spiega perché questa disposizione possa av- venire solo in questa procedura e non in altre forme di conciliazione!).
Questa fase amministrativa è delicata anche perché dal comportamento tenuto dalle parti avanti alla DTL e dal rifiuto di accettare pro- poste conciliative il giudice della futura eventuale causa dovrà trarre elementi per la determina-
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zione della indennità dell’art. 18 St. lav. e per la liquidazione delle spese del giudizio.
Per questo, quando è possibile, meglio sia attivata, già in questa fase, l’assistenza di un avvocato.
In ogni caso: visto la brevità dei tempi, brevità che difficilmente consentirà un esame appro- fondito della complessiva posizione lavorativa nell’arco del rapporto di lavoro, bisognerebbe evitare rinunce tombali se solo vi possono es- sere diritti, specie alla salute o alla qualifica su- periore, che richiedono un esame approfondito. In questi casi, ove il datore insistesse, biso- gnerà mettere a verbale che l’accordo non si raggiunge per la pretesa aziendale di volere una conciliazione, non sul recesso, ma su tutti i diritti del lavoratore. In tal modo la mancata conciliazione non potrà essere valutata dal giudice a sfavore del lavoratore.
Retroattività del licenziamento.
Se fallisce il tentativo di conciliazione o se nei
7 gg. non c’è la convocazione della DTL, il da-
tore può licenziare e il licenziamento retroagi-
sce alla data di inizio della procedura mentre
i giorni lavorati nel frattempo valgono come
preavviso.
Lo stesso vale ora per i licenziamenti discipli-
nari per la procedura prevista dall’art. 7 St.
lav. così che, ove questa procedura, iniziata
con la prevista lettera di contestazione, termini
con un licenziamento, l’effetto di quest’ultimo
risulterà anticipato al giorno in cui il lavoratore
ha ricevuto gli addebiti.
In entrambi i casi questo meccanismo è stato studiato non tanto per far guadagnare un po’ di preavviso al datore di lavoro, ma per impe-
20 dire l’effetto sospensivo della malattia sull’effi-
cacia di un eventuale licenziamento. La logica di questa disposizione è ben chiara ma è co- munque intrinsecamente incoerente nel risul- tato: l’effetto sospensivo sul rapporto di lavoro con le previdenze previste dalla legge e dal ccnl di una malattia del lavoratore che do- vesse insorgere nel periodo successivo all’ini- zio di queste due procedure (in cui, si badi bene, il rapporto è ancora formalmente in vita e il dipendente è ancora sottoposto gerarchi- camente e funzionalmente al suo datore di la- voro) si realizzerà se il licenziamento in quelle procedure sarà evitato, mentre non si realiz- zerà, e con effetto retroattivo, se quel licen- ziamento non sarà evitato.
(Norme particolari regolano questa ma- teria nei casi di maternità e infortunio).
La forma del licenziamento
Il licenziamento deve essere comunicato al la-
voratore in forma scritta e la lettera di licen-
ziamento deve contenere la specificazione dei
motivi che l’hanno determinato (di conse-
guenza non vi è più l’onere del lavoratore di
chiedere la specificazione dei motivi entro i 15
giorni successivi alla sua comunicazione).
Il licenziamento, come prima, deve essere im-
pugnato entro 60 gg; sono però abbreviati i ter-
mini per proporre il giudizio che passano da270
gg.a 180.
LE SANZIONI
Oggi le possibili sanzioni rispetto ai vizi del li-
cenziamento intimato in aziende con più di 15
dipendenti nell’ambito dello stesso comune o
con più di 60 in ambito nazionale, da una sono
passate a quattro. La legge infatti prevede:
1) Una tutela reintegratoria piena
è la vecchia tutela: reintegrazione più risarci- 21
mento del danno, quantificabile dal giudice con una somma compresa tra un minimo di 5 mensilità di retribuzione e l’ammontare di tutte le retribuzioni perdute dalla data del licenzia- mento a quella delle reintegrazione dedotto solo l’aliunde (ovvero le retribuzioni percepite per altri lavori) effettivamente percepito, con diritto del lavoratore a chiedere, in aggiunta, altre 15 mensilità quando, preferendo lasciare il posto di lavoro, rinunci alla reintegra. Questa sanzione è ora prevista soloperili– cenziamentidiscriminatori, quelli maturati in concomitanza col matrimonio o in violazione del decreto di licenziamento per maternità ov- vero perché la legge ne prevede la nullità o perché determinatodamotivoillecitodetermi– nante (come è il licenziamento ritorsivo o di rappresaglia). La norma vale pure per i diri- genti e si applica anche ai licenziamenti orali.
2) Latutelareintegratoriadeboleoatte– nuata
E’ prevista la reintegrazione, ma la misura del risarcimento non ha più un limite minimo, ha invece il limite massimo di 12 mesi e l’aliunde perceptum deve tener conto anche di quel che il lavoratore “avrebbe potuto” percepire de- dicandosi alla ricerca di altra occupazione (sarà quindi necessario provvedere in modo da poter documentare come il lavoratore si sia adoperato per cercare un nuovo lavoro).
C’è copertura contributiva delle differenze e diritto anche in questo caso ad optare per le 15 mensilità.
Questa sanzione è prevista:
a) nei licenziamenti disciplinari, ma solo
quando il giudice accerta l’insussistenza del
fatto contestato ovvero che il fatto rientra fra le
condotte punibiliconunasanzioneconserva–
22 tricesecondoilCCNL (e se è solo spropor-
zionato senza riferimenti al CCNL?)
b) ai licenziamenti intimati per inidoneità so-
pravvenuta alla mansione o per superamento
del periodo di comporto (quantificato come
motivo oggettivo e quindi necessitante della
preventiva procedura amministrativa?)
c) ai licenziamenti per giustificato motivo
quando il giudice accerti “lamanifesta insus-
sistenza del fatto posto a base del recesso”.
Che cosa significhi insussistenza ”manife–
sta” la legge non lo specifica. Un fatto può
essere esistente o insussistente, e se è in-
sussistente la sua insussistenza necessaria-
mente si manifesta!.
In questo caso, poi, il giudice PUO‘ soltanto
(quindi ha un potere totalmente discrezionale,
perché se può, non vuol dire che deve) di-
sporre la reintegrazione.
Ancora una volta la legge evita di individuare un criterio oggettivo; impossibile, quindi, sapere in base a che il giudice, di fronte ad un licenzia- mento con questi vizi, si determinerà a ordinare la reintegrazione o a riconoscere solo il risarci- mento economico: effettivamente su questo ter- reno i problemi di costituzionalità della norma sono rilevanti.
Ovvio che se l’inesistenza dei motivi na- sconde motivi discriminatori si potrà chiedere, anche in questi casi, la tutela piena. 3) La tutela obbligatoria (solo risarci– mento) “ordinaria”
E’ prevista solo una indennità da 12 a 24 men- silità in relazione all’anzianità del lavoratore, il numero dei dipendenti, le dimensioni dell’im- presa, il comportamento delle parti e le loro condizioni.
Esso si applica:
a) al licenziamento per g.m.o quando il fatto 23
invocato sia infondato (ma non manifesta- mente?). Anche in questo caso nella determi- nazione del danno si tiene conto anche delle iniziative assunte dal lavoratore per cercare nuova occupazione (sarà quindi anche qui ne- cessario provvedere in modo da poter docu- mentare queste iniziative)
b) nel licenziamento disciplinare quando il fatto risulti esistente, ma inidoneo a giustificare il re- cesso (sproporzione?). Ma in questo caso do- vrebbe essere prevista una sanzione conservativa con diritto alla tutela reintegratoria debole, e allora che altro? Difficile capirlo!).
4)Tutela obbligatoria ridotta:
solo un risarcimento tra le 6 e le 12 mensilità
graduate dal giudice a seconda della gravità
della violazione procedurale e si applica ai li-
cenziamenti inefficaci per
– violazione dell’obbligo di motivazione
– della procedura amministrativa prevista
per il licenziamento per g.m.o
– della procedura disciplinare ex art. 7 St. Lav.
Ovvio che se oltre a queste violazioni si ag-
giunge la insussistenza dei fatti o la discri-
minazione si applicheranno anche in
questo caso le relative tutele.
I LICENZIAMENTI COLLETTIVI
(commi 44/46)
per le aziende che hanno più di 15 dipendenti
e che intendono licenziare 5 o più dipendenti.
Qui la legge è intervenuta con la precisa vo-
lontà di modificare due punti della disciplina
prevista dalla l. 223/91 in base ai quali diverse
volte i lavoratori avevano potuto fare annullare
i loro licenziamenti;
– innanzitutto la comunicazione finale dei li- cenziamenti e delle loro motivazioni alle
24
OOSS e alla DPL non deve più essere conte- stuale ai licenziamenti ma può essere inviata entro i 7 giorni successivi dalla loro comuni- cazione al lavoratore: viene quindi ridotto il ri- schio del datore di lavoro di incorrere in una violazione formale della procedura solo appa- rentemente perché riguarda la possibilità di una tempestiva verifica da parte degli organi istituzionali preposti, e di riflesso dei lavora- tori, delle modalità dettagliate in cui sono stati utilizzati i criteri di selezione per individuare i licenziati;
– in secondo luogo la norma prevede che eventuali vizi contenuti nelle comunicazioni che il datore deve indirizzare alle OO.SS. per l’apertura della procedura di mobilità possano essere sanati nell’ambito di un accordo sinda- cale concluso nel corso della procedura. Nulla la norma dice sul grado di rappresentanza che l’OS firmataria dell’accordo deve avere. So- prattutto essa non tiene conto del fatto che la comunicazione è diretta a soddisfare anche un interesse del singolo lavoratore e che era almeno necessario fare una distinzione fra omissioni di diverso grado: se una O.S. non riceve la comunicazione possibile che un ac- cordo stipulato con altre possa sanare questa omissione?).
Cambiano, poi, anche in questo caso le san- zioni di fronte ai licenziamenti illegittimi con la previsione di tre casi:
– quando il licenziamento collettivo sia intimato senza la forma scritta (francamente questo pare una ipotesi fantasmagorica in caso di li- cenziamento collettivo) si ha la tutela reinte- gratoria “piena”;
– in caso di violazione della prevista procedura ( evidentemente non sanata da eventuali ac-
cordi sindacali si applica solo la sanzione più 25
grave di tipo economico (tutela obbligatoria or- dinaria da 12 a 24 mensilità).
La gravità di questa previsione emerge nella sua chiarezza se si tiene conto che la proce- dura sindacale è la contropartita al fatto che al giudice è sottratto per questo tipo di licen- ziamenti il potere di esaminare la fondatezza della loro ragione dovendo limitare il suo giu- dizio al solo rispetto formale della procedura. Questo perché si ritiene sufficiente, in caso di licenziamenti collettivi, affidare il controllo del provvedimento datoriale al confronto sinda- cale, confronto, però, che, per essere serio ed effettivo, necessita di uno flusso di informa- zioni precise (e ben indicate dalla legge 223/1991) che devono ovviamente precedere il momento dedicato al confronto e alla ricerca di un accordo.
Questo è ciò che prevede la procedura, ma se poi il datore non si comporta corretta- mente, non fornisce tempestivamente queste informazioni e le fornisce in modo incompleto o fuorviante con chiara mortificazione del controllo sindacale sulla gestione degli esu- beri, ecco che la violazione di questa proce- dura, oggi, in forza di questa nuova legge non potrà più essere sanzionata con la rein- tegrazione dei dipendenti: ancora una volta emerge come essa abbia solo voluto facili- tare licenziamenti ingiusti esponendo il da- tore al mero rischio economico.
In questo caso ovvio che, per una maggior tu- tela dei lavoratori si dovrebbe (si usa il condi- zionale perché ancora non si sa come evolverà la giurisprudenza sul punto) agire tute le volte che risulterà possibile con un azione ex art. 28 St.lav. sostenendo che i li-
26 cenziamenti devono essere revocati perché
conseguenza diretta di un comportamento antisindacale.
In caso di violazione dei criteri di scelta si ri- manda al 4 comma del nuovo art. 18 (tutela reintegratoria debole) con diritto alla reintegra e al risarcimento fino a 12 mensilità (anche in questo caso però andrà accertato se la viola- zione dei criteri non nasconda una discrimi- nazione, nel qual caso dovrà essere riconosciuta la tutela reintegratoria piena).
In questo caso è prevista la reintegrazione anche perché la legge già stabiliva che il da- tore, senza rinnovare la procedura, ha la pos- sibilità di licenziare subito il diverso dipendente individuabile con la corretta applicazione del criterio di scelta.
IL NUOVO PROCESSO DEL LAVORO
(commi 48 – 69)
Su questo terreno i problemi tecnici generati da
formulazioni confuse e approssimative rende-
ranno la vita assai difficile più ai legali che al sin-
dacato, specie nei primi tempi di introduzione
del nuovo regime.
Per ora già si può con sicurezza preventivare
che invece di semplificare e accelerare i giu-
dizi questa legge inevitabilmente finirà coll’al-
lungarne i tempi, specie con riferimento a tutte
la cause diverse dal licenziamento in aziende
con più di 15 dipendenti.
La nuova norma infatti prevede solo per que- sti licenziamenti una corsia privilegiata con obbligo per i presidenti di tribunale di organiz- zare gli uffici in modo che particolari giorni siano dedicati alle udienze solo per questi li- cenziamenti. (già alcuni tribunali mandano av- visi di differimento di ufficio, anche di diversi
mesi, per cause diverse dal licenziamento, ma
non meno importanti e con lavoratori, an- ch’essi, senza retribuzione!).
La norma, che troverebbe la sua ragione nella importanza per lavoratore e datore di sapere al più presto se il rapporto proseguirà o no, in- coerentemente non si applica ai casi della cessazione del rapporto a termine o sommini- strato ove, per le parti, il problema è il mede- simo, mentre si applica, invece, anche i licenziamenti per i quali è prevista una tutela solo risarcitoria, con chiara violazione del principio costituzionale di parità, anche sotto questo profilo, rispetto a lavoratori delle pic- cole imprese soggetti pure loro solo a questo tipo di tutela.
La norma prevede che entro 180 giorni il la- voratore depositi un ricorso che potrà essere anche molto più snello del ordinario ricorso ex art. 414 senza incorrere in decadenze.
Un serio problema però si pone perché la norma prevede che con questo rito si possa solo far valere il vizio del licenziamento (anche quando debbano essere risolte questioni re- lative alla qualificazione del rapporto, ovvero anche quando si debba dimostrare innanzi- tutto che il rapporto di lavoro improvvisamente interrotto, anche se formalmente regolato in modo differente, è da intendersi di tipo subor- dinato) ed impedisce di introdurre altre do- mande se non sono fondate sugli stessi fatti costituivi (addirittura da qualcuno è posto in dubbio che si possa nel medesimo ricorso proporre una domanda subordinata nel caso in cui l’azienda risultasse sotto i 16 dipendenti e si dovesse applicare la legge 108, come è posto in dubbio se debba essere oggi a carico del lavoratore, in questo giudizio, anche l’onere di provare che i dipendenti sono più di 15).
Ovvio che ci sia il rischio fondato di dover fare più ricorsi (a esempio se si deve anche con- testare oltre che il licenziamento anche la qualifica o richiedere altre spettanze) finendo col gravare maggiormente gli uffici giudiziari.
Una volta depositato questo ricorso il giudice deve fissare udienza entro 40 giorni, il con- venuto deve costituirsi 5 giorni prima del- l’udienza (e quindi in questo breve intervallo, nel processo ordinario è il doppio, sarà op- portuno il confronto del lavoratore con il le- gale per valutare le difese avversarie). All’udienza il giudice, sentite le parti ed evitata ogni formalità non necessaria, procede ad istruire la causa che decide con ordinanza, l’idea del legislatore è che tutto si debba risol- vere velocemente possibilmente con il minimo di istruttoria possibile, ma vi saranno casi in cui ciò non sarà certo possibile (come ad esem- pio quando risultasse necessario fare una pe- rizia per accertare se la malattia che ha dato luogo al superamento del comporto sia impu- tabile in tutto o in parte al datore di lavoro) cre- andosi allora una probabile duplicazione di giudizi, perché il successivo giudizio di oppo- sizione che ora vedremo, dovrà svolgersi con una identica istruttoria.
Infatti l’ordinanza con cui il giudice chiude que- sta fase (e qui la legge dimentica di porre un termine entro il quale il giudice deve deposi- tarla!!) può essere opposta con una modalità simile a quella prevista per le cause ex art. 28: il soccombente propone ricorso ex art. 414 entro 30 gg dalla comunicazione o dalla noti- fica dell’ordinanza: ancora una volta, e non si capisce perché, in questo giudizio non pos- sono essere svolte domande diverse da quelle promosse nella fase precedente, salvo
che non siano fondate su fatti identici o non si
voglia chiamare in causa un garante; Il giu- dice fissa udienza non oltre i 60 giorni, e anche in questa fase il giudice “omessa ogni formalità non essenziale”, procede nel modo che ritiene più opportuno all’istruzione della causa e provvede con sentenza dando, ove opportuno, un termine alle parti per il deposito di note difensive fino a 10 gg prima del- l’udienza.
Siamo sempre nel primo grado di giudizio da- vanti al Tribunale, e in teoria davanti allo stesso giudice della precedente fase (anche se questo già appare costituzionalmente discutibile). Questa seconda fase si conclude con sentenza che deve essere depositata dal giudice entro 10 (questa volta il termine c’è).
Contro la sentenza non si propone più appello, ma “reclamo” che deve essere deposi- tato, a pena di decadenza entro 30 giorni dalla comunicazione o dalla notificazione. La Corte d’appello dovrebbe fissare udienza entro i 60 giorni successivi e alla prima udienza può so- spendere l’efficacia della sentenza “se ricorrono motivi gravi”, ed ecco un altro peggioramento per la posizione del lavoratore, perché secondo la regola generale dell’art. 431 cpc la sospensione della sentenza di primo grado potrebbe avvenire solo “quando dalla stessa possa derivare all’altra una gravissimo danno”. Abbreviati anche i tempi del giudizio di Cassazione: il ricorso deve essere promosso entro 60 giorni dalla comunicazione o notificazione della sentenza e la Cassazione deve fissare udienza entro 6 mesi.
AMMORTIZZATORI SOCIALI
Manca, per una più completa valutazione
della nuova normativa, l’esame della parte in cui essa definisce la nuova forma di assi-
stenza in periodo di crisi aziendale e di disoccupazione. Per questo approfondimento si rimanda ad altre future note da parte di chi in materia ha competenza più specifica.
Qui basti anticipare che, in questa diversa parte della legge, l’ipocrisia, che ne permea il preambolo, si materializza nella sua tragica evidenza.
Come già visto, la legge dichiara di voler favo- rire il contratto di lavoro di natura subordinata a tempo indeterminato e poi fa del contratto a termine la la forma comune di assunzione. La legge dichiara di voler favorire le categorie più deboli, e con questa forma di assunzione a termine consente all’impresa di emarginare le fasce più deboli deboli.
La legge dichiara di voler modificare il regime dei licenziamenti adeguandolo alle esigenze del mutato contesto per poi aumentare, anche per questa via, le occasioni di disoc- cupazione e di emarginazione visto i limiti posti alla reintegrazione in caso di licenzia- mento ingiusto.
Ebbene, quando nello stesso preambolo si legge che per raggiungere le sue finalità, si vuole rendere più efficiente, coerente ed equo l’assetto degli ammortizzatori sociali ..logica avrebbe allora voluto che, in considerazione della nuova assai maggior flessibilità in en- trata ed in uscita rispetto ad un posto di la- voro, il legislatore avesse previsto un coerente rafforzamento dei sostegni alla disoccupa- zione: più flessibilità nell’entrata e uscita dal lavoro ma più protezione sociale nel tempo necessario a trovare una nuova occupazione, la cosiddetta flexsecurity.
E invece no.
A parte la sua estensione ad alcuni istituti cui 31
vergognosamente fino a ieri era negata una qualsiasi forma di assistenza (apprendisti e la- voratori a progetto) la nuova forma di assicu- razione sociale, ASPI (Assicurazione speciale per l’Impiego), introduce un sostanziale peg- gioramento sia nell’ammontare che nella du- rata del sostegno alla disoccupazione che andrà stabilizzandosi nel gennaio 2016, quando esso coprirà la disoccupazione per un massimo di 12 mesi al lavoratore con meno di 55 anni e per 18 mesi al lavoratore con più di 55 anni, facendo sparire le ben maggiori tu- tele previsti oggi per i lavoratori ultraquaran- tenni posti in mobilità.
Altre previdenze dovranno poi essere attuate, ma attraverso la creazione di fondi privati rea- lizzati attraverso la contrattazione collettiva con soldi dei datori di lavoro e dei dipendenti, per erogare sussidi alle aziende con più di 15 dipendenti che non avrebbero accesso alla Cig e che oggi vedono così il sostegno pub- blico della Cassa in deroga destinato a spa- rire. Un risparmio quindi dell’INPS e dei fondi pubblici che si riverserà inevitabilmente sul costo del lavoro.
La pretesa della legge dunque di estendere le tutele in caso di crisi e disoccupazione a lavo- ratori prima esclusi senza esporre l’Inps a maggiori esborsi, non può nascondere la con- sapevolezza che ciò non sarà certo attuabile senza determinare una generale riduzione delle indennità necessarie a garantire la so- pravvivenza a questa nuova figura del “lavo- ratore flessibile” e alla sua famiglia nel tempo a lui necessario per ritrovare, dopo la sca- denza del suo contratto a termine o dopo il li- cenziamento, una nuova occupazione.
settembre 2012
CHI SIAMO E COSA VOGLIAMO
Una sintetica presentazione della CUB. La Confederazione Unitaria di Base (CUB) è il più importante sindacato di base italiano è presente nel CNEL i cui componenti sono designati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri prendendo a base la rappresentati- vità. Viene convocata dalle Commissioni La- voro di Camera e Senato e agli incontri con le parti sociali a Palazzo Chigi.
La CUB organizza oltre 700.000 tra lavora- tori dell’industria, dei servizi, del pubblico impiego, gli inquilini e i pensionati, ed è composta dai seguenti sindacati di base: FLMUniti (metalmeccanici, telefonici, ener- gia); FLAICA (commercio, industria alimen- tare, igiene urbana, pulizie, servizi), ALLCA (chimici, energia, farmaceutici, plastica, gomma), CUB-Edili/Legno, CUB-Scuola, CUB-Informazione, CUB-Pensionati, CUB- Sanità, CUB-Tessili, CUB Trasporti, Postali, Cub P.I. (pubblico impiego,); SALLCA CUB
– (Credito e Assicurazioni),Fenalca (Ser- vizi), Unione Inquilini (casa e territorio).
La CUB nasce nella primavera del ’92 per iniziativa di numerosi lavoratori fortemente critici nei confronti di cgil-cisl-uil. Come lavoratori ci siamo resi conto da tempo di non avere più un sindacato, cioè un’organizzazione che difenda i nostri interessi. Viviamo in un paese in cui i sindacati sono cinghia di trasmissione dei partiti e dei governi.
Eppure c’è un bisogno enorme di sindacato,
di tutela dei nostri diritti, d’informazione.
Per questo motivo abbiamo costituito la Confederazione Unitaria di Base (CUB) La CUB vive esclusivamente del contributo versato dai lavoratori con I iscrizione e dalle sottoscrizioni effettuate dai lavoratori in oc- casione d’iniziative o di utilizzo dei servizi. Pratica la più completa autonomia dal pa- dronato, dai governi e dai partiti e caratte- rizza la sua iniziativa con una forte carica democratica affinché siano sempre i lavora- tori a decidere.
I principali obiettivi della CUB:
– ridistribuzione del reddito a favore di lavo-
ratori e pensionati attraverso un forte au-
mento del salario,
– introduzione della scala mobile, il collega-
mento delle pensioni alla dinamica delle re-
tribuzioni, la riduzione dei prezzi dei generi
di prima necessità e delle tariffe pubbliche,
la possibilità di uscire dai fondi, contro il si-
lenzio assenso per il trasferimento Tfr ai
fondi pensione
– integrazione al reddito per precari, lavoratori
in cassa integrazione, disoccupati e pensio-
nati
– occupazione stabile e tutelata per tutti/e,
contro il lavoro precario,
– il rilancio della previdenza pubblica, della
scuola, della sanità, dei servizi sociali, del-
l’ambiente,
– il diritto dei lavoratori alla salute e alla sicu-
rezza rispetto alla centralità del profitto delle
imprese,
– il diritto alla casa, ad un affitto equo
– il diritto dei lavoratori a decidere sugli ac-
cordi, la delegazione alle trattative, l’elezione democratica dei rappresentanti
sindacali e la difesa del diritto di sciopero.
Inoltre la CUB è:
– recupero crediti da lavoro (differenze retri-
butive, arretrati, inserimento nei fallimenti,
ecc.),
– controllo busta paga, scatti di anzianità,
t.f.r., malattia e infortunio, assistenza legale,
– assistenza fiscale, assistenza previden-
ziale, assistenza ai lavoratori immigrati,
– sportello salute, ambiente, sicurezza, in-
fortuni, malattie professionali, ecc.,
Assieme possiamo fare molto. Se sei interessato alle nostre proposte, se condividi l’esigenza di costruire un forte sindacato di base, democratico, che risponde solo ai lavoratori, non metterti tra i rassegnati, assieme possiamo fare molto. Con la CUB si può .