Umiliazioni sul lavoro. Un caso ogni tre giorni

Apre lo sportello mobbing alla Cub. «Sono soprattutto donne tra i 35 e i 50 anni» La psicologa: «Terrore del licenziamento, ansia per le riorganizzazioni in ditta»

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PAVIA. Vessazioni sul lavoro e mobbing, la Cub (sindacato di base) di Pavia ha aperto uno sportello per raccogliere le storie dei lavoratori ed è stata sommersa da una piccola valanga di segnalazioni che poi vengono verificate e girate agli organi competenti, dall’ ispettorato del lavoro alla procura. «Ce ne arriva una ogni tre giorni – spiega Stefano Marton, componente del direttivo Cub Sanità – e delineano come le vessazioni sul lavoro siano un fenomeno crescente nel nostro territorio». Ma la psicologa Loredana Agnello, specialista in disagio sui posti di lavoro, avverte: «Non è sempre mobbing, ma i casi di disagio sul lavoro crescono con la paura di perdere l’impiego e le riorganizzazioni aziendali».

Su 10 lavoratori allo sportello (aperto il primo e l’ultimo mercoledì del mese nella sede Cub di via Monti, 23), 7 vengono dal settore pubblico, la maggior parte sono donne tra i 35 e i 50 anni: «Tanti casi riguardano il settore sanitario – spiega Marton – e segnalano un’insufficiente organizzazione che impatta sulla salute psicofisica dei lavoratori». Si lavora peggio, crescono i disturbi legati ad ansia e stress: «Le cause? – afferma Marton – Carenze di organico che costringono a un super lavoro quotidiano, esternalizzazioni, licenziamenti».

«Sono più soggette a mobbing le persone con una bassa autostima – spiega la psicologa Loredana Agnello dello studio Ethos di Siziano – perché in pratica si tratta di “bullismo” per adulti. Nelle piccole aziende avviene spesso che il dipendente sia maltrattatato dai suoi pari, in quelle grandi è il dirigente a subire ostruzionismo dai sottoposti. Attenzione però, spesso si dice mobbing ma non lo è: la persona si sente fortemente sotto pressione e non sa trovare spiegazioni a quel che accade sul luogo di lavoro, lo chiama mobbing anche se è ansia, stress, disagio, perché questa parola è entrata ormai nel linguaggio comune». Come riconoscerlo? «E’ spesso legato a variazioni dell’assetto aziendale, all’esclusione del lavoratore dalle informazioni, a orari lavorativi cambiati rispetto al passato, al rifiuto immotivato di permessi e ferie, cambiamenti nei carichi, mansioni tolte senza che ci sia una riorganizzazione aziendale. In più con la crisi le persone sono terrorizzate all’idea di perdere il lavoro, se si sentono messe in disparte hanno paura e non vedono che è tutta l’azienda in sofferenza. E arrivano manifestazioni ansiose dovute alla paura di perdere lo status, l’identità spesso fortemente legata al lavoro svolto, prima ancora del reddito».

Articolo di Anna Ghezzi tratto da La Provincia Pavese del 11/07/2013

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