Università di Pavia – Indennità bloccate per 900 dipendenti
Ferma per altri 2 mesi la contrattazione sul fondo salario in attesa degli approfondimenti affidati dall’ateneo a due esperti.
PAVIA. Indennità accessorie bloccate per circa 900 dipendenti dell’università. Contrattazione ferma e questione del fondo salario accessorio in stand by per almeno altri due mesi. Perché l’università ha deciso di nominare due esperti per ulteriori verifiche sul fondo, dopo che la Cub aveva dichiarato che «non esisteva alcun debito da parte del personale». Così, a spulciare la documentazione dell’ateneo, dopo gli esperti dell’ufficio studi del sindacato, saranno i consulenti che l’università nominerà attraverso avvisi pubblici. A loro spetterà il compito di accertare se effettivamente vi sia stato uno squilibrio nella distribuzione delle risorse, in quanto, secondo i revisori, i conti non sarebbero tornati per circa 1milione di euro e ci sarebbero state incongruenze sui conteggi di almeno 5 anni. «Sono stati messi in dubbio i conti eseguiti dai revisori e, in seguito a queste contestazioni arrivate dai sindacati, abbiamo deciso di procedere alla verifica dei fondi», chiarisce il direttore generale Emma Varasio, precisando poi che «l’amministrazione aveva proposto un’ipotesi di accordo su cui le organizzazioni sindacali erano favorevoli, ma non accettato dalla Rsu». «Un accordo era possibile infatti solo sul fondo realmente certificato, ma contestando questa certificazione l’accordo non si può siglare e, senza una delibera, il consiglio d’amministrazione non può procedere ai pagamenti dei trattamenti accessori». Tra una settimana verranno pubblicati gli avvisi pubblici per individuare un consulente in ambito giuridico e un consulente in ambito contabile che avranno il compito di verificare tutti i fondi a partire dal 1999. «Potrebbero impiegare almeno un paio di mesi, una parte del lavoro di ricostruzione è già stata effettuata dai nostri uffici, ma il tempo dipende dagli esperti – spiega Varasio – L’interesse dell’amministrazione è quello di chiarire la situazione e ricostruire la storia di questi fondi per arrivare a dati certi che siano una garanzia per i dipendenti». Resta il fatto che il blocco delle indennità accessorie spacca le organizzazioni sindacali. Cgil e Cisl sottolineano come già dallo scorso novembre siano stati favorevoli «alla sottoscrizione di un accordo con tutte le garanzie che tutelino il personale». In un volantino, diffuso nei giorni scorsi, sintetizzano il loro pensiero con lo slogan «no firma, no soldi». E chiariscono: «Ben vengano quindi tutte le verifiche possibili che potrebbero portare a risultati più favorevoli, purché queste non impediscano, se realmente c’è la volontà, di sottoscrivere accordi che, comunque dovranno essere firmati da tutti». Ma da questa posizione si discosta la Uil che dice di «non condividere l’atteggiamento attendentista di Cgil e Cisl» e di «voler giungere ad un accordo che non necessariamente deve essere firmato domani, ma deve essere il migliore possibile per tutto il personale». Sulla questione della mancata certificazione del fondo da parte dei revisori la Uil ha organizzato un’assemblea in cui la maggioranza ha votato contro il principio di solidarietà, non ritenendo giusto che il debito venisse spalmato anche sulle categorie B C D. Per la Cub, che ha controllato i conti dal 2004, il debito non esiste. Tanto che all’amministrazione era stato chiesto di «pagare, nel 2016, le indennità accessorie» ai circa 900 dipendenti. E se errore vi è stato, dice il segretario provinciale Rocco Lamanna, «a commetterlo sono stati i revisori che non avevano certificato il fondo». E aggiunge: «Non si possono accettare accordi al buio senza prima avere fatto chiarezza sulla reale consistenza del debito, facendo perdere soldi ai lavoratori».